
Dal 2019 ad oggi 53.411 negozi in meno. In 5 anni 352.852 negozi hanno abbassato la saracinesca
Uno studio elaborato dal nostro centro studi su dati dell’Osservatorio Nazionale del Commercio del Mise, ha evidenziato una vera e propria ecatombe dei negozi fisici.
Dall’ultimo dato statistico dell’era precovid (31 dicembre 2019) al 31 dicembre 2024 il saldo negativo (la differenza tra aperture e chiusure) per le attività commerciali in sede fissa è di 53.441 punti vendita.
Il che significa un saldo negativo di circa 10.000 negozi l’anno: dato che può sembrare sopportabile, fisiologico, ma a nostro avviso vanno tenuti presenti due argomenti: il saldo negativo di questi 5 anni si è concentrato sugli ultimi tre anni, cioè ad emergenza Covid superata, segno che il deficit è diventato strutturale; il numero totale dei negozi che hanno cessato l’attività è di 353.852”.
Ecco l’interpretazione di Confimprese Italia: “Abbiamo modo di pensare che le misure anti covid ed i presunti aiuti, abbiano posticipato la crisi di liquidità generata dai mancati fatturati del periodo Covid e, inevitabilmente, quando è finito il periodo di preammortamento del finanziamento, in tanti non ce l’hanno fatta. Avevamo, in più tavoli, manifestato l’insufficienza delle misure anticovid, avevamo spiegato, inascoltati, che le aziende che hanno attraversato la pandemia erano penalizzate nel confronto con le aziende che partivano da zero, e che questa condizione di difficoltà sarebbe stata pagata a caro prezzo.
Ogni azienda che chiude genera drammi personali, familiari che rischiano di diventare sociali. Dietro ogni impresa ci sono famiglie, e non ci riferiamo ai soli titolari ma anche ai dipendenti, che alla chiusura di una attività subiscono dei contraccolpi come la perdita del lavoro. Se, infatti, in ogni azienda ci sono almeno 4 addetti, vuol dire che, negli ultimi 5 anni. 1,4 milioni di famiglie hanno dovuto confrontarsi con la perdita del posto di lavoro. Un dramma che, visti i dati, assume dimensioni da crisi sociale”.
Quali le cause? “È indubbio che la crisi del commercio è determinata dalle modifiche delle abitudini dei consumatori dal loro maggiore utilizzo degli acquisti on line, dalla crisi dei consumi generata da una persistente situazione di crisi che comprime le possibilità di spesa dei cittadini, ma è altrettanto evidente il silenzio assordante della politica”.
Il balzo in avanti del commercio on line
Nel periodo in discussione le aziende che operano esclusivamente con le vendite on line sono praticamente raddoppiate, passando da 23.860 a 45.265.
I dati tratti dall’osservatorio nazionale per il commercio del Ministero per lo Sviluppo Economico forniscono una foto impietosa, che sollecita un intervento da parte di governo e Parlamento.
“Qui non si tratta di fermare il futuro ma di riequilibrare lo squilibrio tra commercio fisico e commercio on line, di sostenere il commercio fisico per salvaguardare gli effetti positivi che questo determina a favore della collettività, come la socialità, la maggiore sicurezza delle strade, la qualificazione dell’offerta turistica, il mantenimento morfologico delle nostre realtà con particolare riferimento ai centri storici.
Non è in discussione una evoluzione economica, ma una transizione culturale e sociale. Occorre riqualificare una “offerta fisica” di luoghi e momenti di relazione personale come alternativa al dilagante e spesso devastante rapporto virtuale”.
Nel quinquennio esaminato, Lombardia, Lazio e Campania registrano oltre 40.000 chiusure. Tra le province più colpite Milano, Torino e Bari che hanno superato le 10.000 cessazioni. Ancora peggio hanno fatto sono Roma con oltre 30.000 chiusure e Napoli con oltre 20.000.
In Sicilia i risultati sono in linea con quanto accaduto a livello nazionale. Il saldo è abbastanza contenuto: – 2.175 nell’ultimo quinquennio. Va detto che nell’ultimo triennio il saldo è pari a – 2.875, confermando l’accentuarsi della crisi.
Le aziende cessate dal dicembre 2019 al dicembre 2024 sono pari a 28. 746.
Le punte più alte nelle province di Catania (6.740 cessazioni) e Palermo (6.439). Tutte le altre provincie, ad eccezione di Enna e Caltanissetta, si posizionano tra le 2.000 e 2.500 cessazioni nel periodo esaminato.
Ecco allora le proposte di Confimprese Italia.
“Per le ragioni prima esposte riteniamo che si debba agire con delle misure accurate- chiosa il Vicepresidente vicario – che mirino ad introdurre un Fondo nazionale per finanziare progetti di rete tra esercizi commerciali. Occorre sostenere la realizzazione di piattaforme e-commerce comuni, servizi condivisi e promozione coordinata, favorire l’inclusione del commercio su aree pubbliche e valorizzazione dei mercati storici, stanziare contributi a fondo perduto fino al 70% delle spese ammissibili, coinvolgere Ministero, Regioni e Comuni nella gestione e attuazione dei bandi. Ed infine, predisporre un monitoraggio annuale degli effetti della legge da parte del Parlamento”.